È dopo qualche istante che la muta indifferenza degli oggetti sveglia i ricordi o l’immaginazione degli ospiti, a seconda dell’età.
Il carrettaio, il cantastorie, ‘ddu carusu, il bimbo sul girello, donne devote, mani ruvide e stanche, di Virtù cadute ad afferrare un’esistenza scandita dal fato.
Vive, nella cieca bellezza di colori sbiaditi, la quotidianità di ieri: ogni bambola veste mode d’antan sognate dalle mamme all’uncinetto; splende Rinaldo pupo; si affaccia, dalle foto in bianco e nero, l’austero candore di un mondo mai lontano dal campo dallu sceccu dal cavaddu — di terra nivura, di sole d’Odissea, di un’epoca che conosceva l’esatta provenienza d’ogni cosa posseduta.
E mentre, gli occhi tesi, ascolti le geometrie ricurve di un grammofono anni ‘30, osi intuire la risposta all’ultimo segreto — la dimora dell’anima: le cose?