Prefazione


La Commedia dell’Allievo è nata per caso il primo di Gennaio 2016.

…A casa per il periodo natalizio, dopo troppi giorni dedicati all’otium, mi ritrassi in un angolo a scrivere di getto IL PRIMO GIORNO che di lì a poco sarebbe diventato il primo canto di un poema quasi monumentale.

Sull’iPhone.

Non me ne abbiano i puristi, quelli che penna e calamaio, per l’eresia di avere scritto ogni singolo verso della Commedia sul telefonino… ma l’ispirazione a me solo così viene di questi tempi – anche perché lo strumento elettronico portatile offre supporti di tutto rilievo: dalla possibilità di rivedere e correggere in qualsiasi momento (per fortuna le rime non hanno memoria olfattiva), alla comodità di avere a distanza di pollice la Treccani online o il cercarime.it e, soprattutto, alla facilità con cui si può cercare un vocabolo all’interno di quanto scritto sino a quel punto, poiché uno degli incubi principali del poeta prolisso è la ripetizione di parole, metafore e concetti ricercati che devono rimanere perle, degli hapax legomenon all’interno della struttura del componimento.

La poesia è una passione derivata dal mio amore per le lingue.

Sin da piccolissimo – senz’altro influenzato da una Mamma poliglotta che conversava nelle principali lingue romanze, masticava il Tedesco, amava il neo-Greco ed eccelleva in Inglese – sviluppai uno spiccato interesse non solo per la comunicazione internazionale (…quanto odiavo i ragazzini inglesi che in vacanza non si sognavano nemmeno di provare ad imparare quattro parole della lingua del posto!) ma anche, in modo particolare, per la grammatica e la struttura del linguaggio.

Negli anni della prima adolescenza, l’incontro con il Latino ed il Greco al Ginnasio fu un invito a nozze dove, se la versione era pura voluttà, la metrica si rivelò la più bella delle scoperte perché aggiungeva una componente di ritmo e musicalità che offrivano al narratore e all’ascoltatore un’esperienza multi-sensoriale.

La poesia che amo è quella incastonata in una struttura metrica. L’endecasillabo dantesco non è altro che un pentametro giambico catalettico in veste italiana, un metro assimilabile al ping-pong: basta chiudere gli occhi e immaginare, in una partita combattuta, la pallina che prima rimbalza sul tavolo e poi sulla racchetta che la colpisce con forza ed effetto – per cinque volte prima di andare a punto.

Non è che non ami la poesia moderna che, almeno in apparenza, la metrica l’ha lasciata nel cassetto. Montale fa danzare le parole come Gaudì le linee di un edificio …la metrica c’è – eccome! – ma spostata sui piani multi-dimensionali del genio. E poi ci sono i rapper quelli buoni.

Io, da buon principiante o – se il Maestro Francesco Forlani (82-85) acconsente – da discreto penultimo, mi accontento della gabbia dell’endecasillabo a rima incatenata.  Gabbia che, come tutte le prigioni del finito – si pensi alla quadro del pittore, alla pagina del poeta, allo strumento del musicista –  permette di attingere alle inestinguibili sorgenti dell’infinito.

Dante mi affascinava al punto che un giorno, due anni dopo aver conseguito la maturità, forse spinto dal senso di colpa di avere venduto l’anima (da studente) al diavolo (degli studi di tipo tecnologico-gestionale), decisi di imparare la Divina Commedia a memoria. Arrivai soltanto all’ottavo canto dell’Inferno (una buona oretta e mezza di recitazione consecutiva) prima di abbandonare il progetto per un motivo pratico anche se forse un po’ superficiale: non glie ne fregava un k**** a nessuno! … specialmente quando, dopo belle parole di incoraggiamento, il generoso amico si sentiva obbligato ad ascoltare almeno due canti di fila!

Lasciai perdere…

…Per quasi due decenni, impegnato a rincorrere le cose pratiche della vita e a fare del mio meglio, almeno nelle intenzioni, come marito e padre di famiglia (gratias domino summā patientiā eorum). Cominciai a scrivere qualche poesiola e poi, oltrepassata la soglia dei quaranta, mi sentii pronto per riaccendere il fuoco delle Lettere Classiche dalle ceneri del mio fervore liceale.

Omero diventò il mio migliore amico immaginario.

Dopo essermi rinfrescato la memoria sulle opere del sommo tra i sommi poeti (ed aver costretto i miei figli ad ascoltarle in versione narrata durante alcune Odissee in macchina), intrapresi una nuova iniziativa mnemonica, questa volta focalizzata sul primo libro dell’Iliade in Greco Antico.

Perché?!?

In maniera simile alla mia precedente avventura dantesca, l’obiettivo era quello di calarmi dentro all’opera per poterne apprezzare, attraverso la costante ripetizione, sia i contenuti sia la sua ritmica melodia.

Nelle opere classiche in particolare, dove la struttura metrica, linguistica e grammaticale consente grande flessibilità, la ripetizione ad alta voce permette di apprezzare l’uso del ritmo in perfetto accordo con il significato del testo; un’arte che si osserva agevolmente nella musica – basti pensare alle Quattro Stagioni di Vivaldi ma, perché no, anche ad Albachiara di Vasco Rossi.

Era giunto il momento di canalizzare questo hobby classicistico in un qualcosa di più.

Di qui la decisione di tornare all’Università a tempo pieno, al King’s College di Londra, per conseguire un postgraduate Diploma in Classics. Ne conseguì un riavvicinamento anche al Latino ed in particolare agli scritti di Cicerone e ai distici elegiaci + esametri del poeta Ovidio.

Ma non sono mai stato un bravo spettatore.

Il primo Gennaio 2016 giunse il momento di smettere di recitare le opere altrui e rimboccarsi le maniche. Il primo canto lo scrissi come piccola sfida a me stesso:

Sarò mai in grado di scrivere un intero canto in stile dantesco?

(tra 110 e 160 endecasillabi a rima incatenata)…Ora, per scrivere qualcosa un po’ più lungo di un haiku, ci vogliono almeno due presupposti: ricchezza di contenuti (rem tene, verba sequentur – Cicerone) e capacità di trasporli in versi. Sul primo giocavo facile: l’esperienza del Cappellone alla Nunziatella è un pozzo senza fondo di emozioni e di ricordi con i quali ogni ex-Allievo – volente o nolente – si confronta praticamente ogni giorno della sua vita; sul secondo …non avevo nulla da perdere, eppoi …

…tentar non nuoce.

La rapidità nel completare il primo canto mi lasciò da una parte sorpreso, dall’altra motivato a scriverne un secondo – 151 versi erano bastati appena a descrivere il primo giorno alla Scuola! – dando inizio ad un progetto che sarebbe durato due anni e mezzo, sino al 18 Maggio 2018.

Per continuare, avrei dovuto darmi delle regole; non troppe, ma abbastanza da poter garantire solidità e armonia strutturale. In realtà, le regole si sono cristallizzate in corso d’opera, in una sorta di feedback loop certamente noto a chiunque si cimenti a creare qualcosa di sostanzioso, dove il prodotto in fieri “parla” al suo autore in modo talvolta evidente, altre volte subliminale.

Le regole, appunto. Ecco le principali.

Un canto una puntata. Decisi sin dall’inizio che ogni canto avrebbe dovuto avere una sua coerenza interna, simile alla puntata di una serie televisiva, in modo tale che si potesse leggerne uno a caso e capirlo e goderselo (anche se non in egual misura) pur senza aver letto quelli precedenti o successivi.

Fedeltà cronologica. Non mi preoccupai di definire subito quanti canti scrivere ma mi impegnai a procedere con la massima fedeltà cronologica (limitatamente alla mia memoria di fatti ormai più che trentennali) piuttosto che “zompare” da un evento all’altro.

Catalogazione sistematica. Sulla falsariga concettuale del secondo libro dell’Iliade (“il catalogo delle navi”), volevo disseminare tra i versi abbastanza informazioni da permettere ad uno studioso (che volesse andare oltre all’apprezzamento di forma e contenuti poetici) di potere ricostruire i dettagli salienti della vita di un Allievo del primo anno e delle Tradizioni della Scuola. Tradizioni basate sulla mia esperienza personale della Scuola negli anni 84-87, reinterpretate in chiave poetica e giocoforza non rappresentative, nello specifico, di ogni corso della Storia della Scuola… ma con caratteristiche universali nello spirito in cui esse venivano eseguite o …subite.

Protagonista generico. La voce narrante doveva essere quella di un personaggio inventato, Davide Rossi, che privilegiasse il più possibile il denominatore comune dei sentimenti dell’Allievo del primo anno – mutatis mutandis, di qualsiasi epoca – rispetto a riferimenti di tipo autobiografico.

Voce del quindicenne. Una delle decisioni stilistiche più importanti della primissima ora: la necessità di evitare di imporre la maturità di un adulto nei pensieri dell’adolescente. Per esempio, la figura dell’Ufficiale (canti VI, X e XI), col senno di poi, era centralissima e assolutamente critica – nel bene o nel male – per il cursus degli Allievi nella Scuola… ma per gli Allievi del primo anno in particolare – per via delle strutture gerarchiche degli Allievi più anziani – l’Ufficiale era una figura distante, quasi invisibile se non in rari momenti o verso la fine dell’anno. Oppure la rapidità del giovane Allievo nel saltare dal sacro al profano senza manco pensarci, dal solenne saluto al Masso all’affrettarsi per incontrare la ragazza, dalla contemplazione del bello in chiesa all’affrettarsi per incontrare la ragazza…cose assolutamente naturali e per nulla superficiali per chi le vive a quindici anni (canto XII).

Focus sui sentimenti. La scelta di rendere questi contenuti in poesia è stata anche determinata dalla volontà di parlare innanzitutto delle emozioni del cadetto all’interno del palinsesto della sua esperienza scolastico-militare. Questo nel chiaro intento di trovare una chiave di lettura per quel fuoco, di madre comune, che arde nell’animo di ogni generazione di ex-Allievi, il cui calore è constatabile annualmente in occasione del Giuramento intorno al 18 Novembre.

Corri ragazzo vai. E non fermarti mai…”. Dato quanto sopra, la stesura del canto diventa un processo naturale che sai più o meno cosa ci devi mettere dentro ma non sai che forma prenderà. Lo scopri verso per verso, aiutato e ostacolato al tempo stesso dal rigore della struttura.

De quo satis.

Una volta stabilite le regole era solo questione di procedere e perseverare. I canti fino al quinto erano così ricchi di contenuti (inquadramento iniziale II, arrivo Anziani III, Pompa IV, prima Libera Uscita V) da scriversi quasi da soli. Così anche quello del Giuramento, il Groundhog Day dell’ex-Allievo (canto VIII).

La cosa forse più difficile di cui ti rendi conto non appena decidi di andare oltre due o tre canti è che una cosa è costruire un bungalow, un’altra una torre: la solidità strutturale richiede una coerenza globale.

Il primo “muro” arrivò con IL PROFESSORE (canto VI). Qui non si trattava tanto di narrare fatti e tradizioni, quanto di cercare di identificare e descrivere un archetipo che potesse rappresentare il docente della Nunziatella agli occhi del neo-arrivato. Il professor Claudio Ferone, RIP – che tanto dette a generazioni di ex Allievi e a me personalmente – mi aiutò ancora una volta, questa volta dai Campi Elisi, a trovare la quadra giusta.

A seguire, con LA NOTTE di San Crispino (canto VII) ed i canti successivi fino alla fine, emerse la necessità di scegliere più consciamente e poi portare in vita un tema astratto (un motto, un riferimento biblico o classico, artistico, religioso, intimo) per creare uno sfondo pertinente ed originale per ogni canto, una cassa di risonanza dei contenuti.

Tale artificio mi ha permesso, un po’ egoisticamente, di inserire una firma d’autore pregna dei miei interessi culturali, dalla mitologia e la lingua Greco-Latina, a Dante, alla Storia Antica, all’Ars gratia Artis, alla musica, all’Opera.

Tra tutti i paralleli effettuati, quello che più mi sta a cuore da un punto di vista accademico è quello della cerimonia del PAPIELLO (canto IX), che mi sono trovato a rivivere trent’anni dopo in aule universitarie studiando i riti misterici dell’Antica Grecia, in particolare il Mistero di Demetra ad Eleusi che, ai miei occhi, è una sorta di portale, di stargate alle Tradizioni della Nunziatella.

Da un punto di vista emotivo, Natale ed Epilogo (canti X e XIV) sono stati i più ricercati, l’uno per far ridere l’altro per far piangere. Ai lettori la sentenza.

Il più “laterale”? Il Blu (canto XIII).

Per finire, parliamo della fine.

…Di finirla, decisi solo dopo il nono canto, nel Novembre 2017. Sino ad allora era un progetto aperto; avevo contemplato l’idea di scrivere tre cantiche come l’Inferno-Purgatorio-Paradiso del divino poeta (primo-secondo-terzo anno) ma ero preoccupato – in parte per la dimensione potenziale, in parte per il rischio di ripetizione dei contenuti anche se narrati secondo prospettive diverse.

Una carissima amica artista, pittrice, Tania Pistone, che non sentivo da tempo mi chiamò e, dopo aver condiviso con lei lo scritto sino a quel punto, mi domandò quanti canti mancassero al compimento dell’opera. Questo scambio e questo stimolo inaspettato mi portarono rapidamente a decidere di limitare il poema al primo anno (quello più rappresentativo, formativo ed emotivamente carico) e di farlo in quattordici canti (lo stesso numero delle tavole della Via Crucis) che ora Tania sta interpretando in un progetto artistico che sarà oggetto della sua prossima mostra.

Individuata la fine del tunnel, i canti dal decimo al quattordicesimo si susseguirono con rapidità molto maggiore rispetto ai cinque precedenti.

Per certi versi, tuttavia, ogni canto è stato come un figlioletto col suo inizio e la sua fine. In questo, le applicazioni “social” whatsapp e Facebook hanno avuto un ruolo determinante, permettendomi di stabilire e mantenere un canale di collegamento con l’audience primaria a cui il componimento è indirizzato, quella di chi ha vissuto da vicino la Nunziatella: pochi minuti dopo avere steso l’ultimo verso del canto a cui stavo lavorando potevo avere la gratificazione immediata di “pubblicarlo” e ricevere pressoché istantaneamente incoraggiamenti, commenti e correzioni – catalisti motivazionali di cui sono estremamente grato.

Il mio augurio è che la Commedia dell’Allievo possa essere letta e gradita non solo dalle generazioni di ex-Allievi di oggi, ma anche da quelle future, perché – col rischio di peccare d’arroganza – il giorno in cui questi contenuti non risuonassero nell’animo di chi ha frequentato il Rosso Maniero, la Nunziatella sarebbe morta.

Bene, credo di aver detto tutto… e se cambio idea aggiorno… Buona lettura!

-> Vai all’Indice della Commedia dell’Allievo.

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